tratto da salito mania
Prada Alta - Punta Veleno - mt 1156
Località di
partenza: La salita nel dettaglio Tra le salite più ostiche in Italia, quella che porta al Passo del Telegrafo, sulla riva veneta del Lago di Garda, è stata soprannominata dai locali come "Punta Veleno". Il perchè lo scoprirete presto leggendo questo bel racconto sulla scalata dell'amico Mauro Melani, appassionato salitomane toscano di Pistoia, che l'ha recentemente percorsa e mi ha gentilmente inviato la sua relazione tecnica: per altre informazioni più dettagliate potete contattarlo direttamente al suo indirizzo di posta (Mauro Melani)
Cari amici salitomani, tenterò di raccontarvi
un’impresa ai limiti del verosimile: la scalata al Colle di Prada Alta
da Castello di Brenzone sul Lago di Garda. Questa salita è considerata
dalle classifiche in materia la salita più difficile in Italia e la
quinta in tutta Europa. E’ lunga una decina di chilometri., sei dei
quali, dal secondo all’ottavo, con una pendenza media del 14.6% e tratti
al 18/20/22%. Come mio solito avevo preparato l’avventura in modo
scrupoloso e preciso: cartine, altimetrie, percentuali giravano ormai da
mesi sul mio tavolo di lavoro, e non avevo lesinato richieste di pareri
a cicloamatori amici e club vari, vicini e lontani. La nostra colazione fu affatto abbondante: non dovevamo affrontare lo Stelvio. Rimanere più leggeri possibile era un imperativo categorico! La pioggia martellava la tranquilla superficie del lago, e le speranze diminuivano come i granelli di sabbia nei nostri pugni serrati dalla rabbia. A volte, però… Sembra l’inizio di una favola, invece è vero: a volte i miracoli accadono! Si alzò il vento, e come un enorme sipario il lago lasciò trasparire da uno squarcio nelle nubi un arcobaleno che, senza ombra di dubbio, era il segnale tanto atteso: finalmente si poteva andare! Dopo una ventina di chilometri di riscaldamento sulla statale Gardesana, fra pulmans di turisti e qualche sparuto gruppetto di cicloamatori impenitenti, decidemmo che era ora! Ripercorremmo le poche centinaia di metri che ci separavano dall’attacco del Prada Alta e ci facemmo superare dalla macchina al seguito, con le nostre mogli e figli che avevano il compito di documentare quello che sarebbe accaduto… Via via che la strada scorreva sotto le nostre ruote superleggere, ci ripetevamo a vicenda il solito ritornello: "Piano…, di conserva…, risparmiamoci più possibile…" In un paio di chilometri arrivammo al primo tornante, che appena superato ci mostrò di colpo tutta la terribile realtà che ci aspettava: la prima di una lunga serie di rampe al 16-17%. I rapporti agili (28-29x39) che avevamo innestato da subito cominciarono a farsi duri da tirare, poi durissimi, impossibili da spingere seduti, e anche "fuori sella", a causa dell’asfalto viscido, dovevamo compiere vere acrobazie per non cadere rovinosamente a terra. Ci alzammo comunque "en danceuse", per gravare con tutto il peso del nostro corpo sulle pedivelle delle bici, e riuscire così a farle girare. Il fiato cominciò a farsi corto e la dispnea ci impediva di essere pienamente lucidi. Lucida era invece la strada, ancora bagnata dai numerosi rivoli di acqua mista a fango che scendeva dalla montagna sopra di noi. Alzare la testa, in quelle tremende tirate, era da suicidio! Vedere quei dirizzoni, fra un tornante e l’altro, salire al 17/18%, senza soluzione di continuità, contribuiva a peggiorare il nostro stato d’animo. In quelle situazioni non servono le gambe, già martoriate dall’acido lattico, non i polmoni ormai sfiancati dalle pendenze, non le braccia indolenzite dallo sforzo per rimanere attaccate alla piega del manubrio. Serve solo la capacità di soffrire in silenzio. In questi casi il grado di masochismo è direttamente proporzionale alle percentuali di difficoltà dell’ascesa: soffrire prima per godere poi, oppure chi + soffre + più gode. Quando, dopo 4 o 5 chilometri di "tirate alla morte" e "tornanti secchi", non si intravede la fine della salita si comincia veramente a temere di non farcela, a pensare che "un piede a terra" non è poi la fine del mondo. Si ragiona secondo questa logica: "faccio un’altra tirata e mi fermo; ancora una curva e smetto; qualche centinaio di metri e poi basta!" E’ in questo modo si riesce ad andare avanti, che si progredisce verso la vetta dell’inferno. Anche se con una differenza di qualche minuto l’uno dall’altro, siamo finalmente arrivati. Sì , arrivati in tutti i sensi, morti, distrutti, squassati dalla fatica e dal sudore. I sei chilometri centrali di Prada Alta sono veramente unici nel panorama delle salite italiane ma anche europee. In cima un urlo liberatorio ci appaga dello sforzo immane e ci abbracciamo tutti insieme, pedalatori, donne e bambini, questi ultimi increduli di vedere rinascere così gente ormai data per spacciata, già diversi tornanti sotto. Abbracciamo anche un cicloamatore che con la sua MTB ci confessa di essere sceso parecchie volte, prima di arrivare in vetta. Ci godiamo come non mai la lunga discesa che ci riporta sulla Gardesana, e ormai vuoti di energie e riserve alimentari ci precipitiamo verso l’alberguccio che ora ci appare quasi un miraggio, un Hilton a 5 stelle. Dopo pranzo, una delle attività più esaltanti per un cicloamatore: il ricordo dell’impresa appena superata, il racconto e la sottolineatura delle sensazioni, vissute metro per metro, provate lungo l’asperità. E’ solo questo che riempie il cuore del vero "grimpeur": assaporare, come si fa con il calice di un grande vino, tutti i sapori, gli aromi, i colori che lo accompagnano. E tutte quelle sfumature, quelle "nuances" si riflettono sullo specchio di quell’asfalto che solo per i profani è grigio e freddo: per noi, amanti della bicicletta, ha i colori dell’arcobaleno. Mauro Melani
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